24 ottobre 2007

Guida per l'insegnante all'adozione

Vorrei segnalarvi questa guida online per l'insegnante su come affrontare l'adozione in classe. Mi pare che sia molto chiaro e ben fatto.

Leggetelo ma sopratutto, stampatelo e portatelo alle maestre di vostri figli.

Ecco il link http://www.familyhelper.net/ad/guidainsegna.html (che ho anche inserito tra i Consigli di Lettura)

Ed eccovi un'anteprima:

L'ultima cosa che desiderate fare e' escludere deliberatamente uno studente da una discussione in classe, o da un progetto da realizzare, eppure un compito mal concepito puo' avere proprio queste conseguenze.
Alcuni compiti a casa si basano su una visione della famiglia che da' per scontato che tutti i ragazzi vivono con mamma e papà in un mondo senza divorzio o adozione o storia personale travagliata. In breve, sono deviati dal pregiudizio contro il figlio di una famiglia non tradizionale (vedere Modulo 1).
Di solito non potete lasciar perdere il compito, ne' fare eccezione per studenti che sono " casi speciali.". Nondimeno potete ancora raggiungere l'obbiettivo educativo desiderato, per tutti gli alunni della classe, ampliando il compito al riconoscimento della diversità dei nuclei familiari. Ecco qualche suggerimento.

Albero genealogico
Compito: Disegnate il vostro albero genealogico.

Deviazione: questo albero da per scontato che i bambini vivono con le loro famiglie d'origine, o che conoscano le loro radici familiari. Il consueto albero genealogico prestampato non accoglie le diverse strutture familiari -- spazi vuoti per una famiglia con una madre e un padre, ma nessuno spazio per figli adottati o famiglie adottive o altre configurazioni. I figli di tali famiglie sono fatti sentire diversi.

Raggiungere l'obiettivo: Gli insegnanti che hanno riformulato il diagramma tradizionale dell'albero per accogliere nuove forme di famiglia, hanno prodotto Cespugli Genealogici, Foreste Familiari, Pioppi Genealogici, Alberi dell'Amore (con i frutti a forma di cuore), Albero Affettivo, Alberi Radicati (gli antenati di nascita sono radici, i rami sono adottivi o patrigno o matrigna), e Cespuglio di Peonia (crescono fianco a fianco).

Oppure potreste abbandonare la metafora dell'albero e provare la Ruota dell'io (bambino al centro, parenti intorno in circoli raggruppati) o La Mia Casa (schema della casa con la gente all'interno) o un diagramma con simboli per le persone e linee che mostrano le relazioni. Chiedete ai bambini di fare liberamente in gruppo (brainstorming) una lista di differenti tipi di famiglia; offrite una varietà di "alberi", o fate inventare a loro stessi il loro diagramma. Fatelo diventare un progetto innovativo -- fate fare agli alunni il ritratto della famiglia e che significa per loro, in disegni, pittura, o scultura. Usate i lavori finiti per far partire la discussione sui tipi di famiglie e sui differenti modi in cui sono formate.

Dedicate uguale spazio a tutti i tipi di famiglia -- evidenziate che, in tutto il mondo, pochi bambini crescono in famiglie nucleari. Comprendete famiglie estese, adottive, con figli di un partner, e di un solo genitore.

Questi obiettivi possono introdurre parole e relazioni; per imparare il vostro posto
nella famiglia, e la storia familiare; o per studiare da dove sono arrivati i vostri antenati. Potreste dover ricercare altri modi di raggiungere gli stessi obiettivi. Eppure, il compito sull'albero genealogico non ha bisogno d'essere evitato -- e' un opportunità per una lezione sulla crescita della famiglia.


Ci sono altri esempi e altri argomenti che riguardano i figli adottivi o che comunque vivono in una famiglia non-tradizionale. Ditemi cosa ne pensate.

Forza Nepal!



Alcuni giorni fà il mio figlio mi disse:
"Mamma, ti immagini se il Nepal avesse la sua squadra di calcio?" e poi, senza aspettare una mia risposta aggiunse "Forza Nepal! Forza il paese dove sono nato!"

Mi è venuto un brivido perchè era la prima volta che lui esprimeva un parere deciso e positivo sul suo paese natale.
Ho sorriso e risposto con un "Forza Nepal! Forza Nepal!"

19 ottobre 2007

E se a rifiutare il paese natale, fosse proprio il nostro figlio?

Abbiamo portato coperte, disegni, cd di musica e bandiere. Una volta a casa abbiamo preparato un fotoalbum con tutte le foto di quando siamo andati a prenderlo. Foto del paese, della gente e anche quelle del nostro incontro e dei primi giorni insieme. Abbiamo guardato le foto insieme diverse volte e non ostante ciò, può capitare che un bimbo (o bimba) di colpo rifiuti il suo paese d'origine e tutto ciò che a che fare con esso.

Non vuole più parlare la lingua madre con altri bambini della stessa lingua madre oppure non vuole più incontrare gli amichetti che erano con lui in Istituto. Non vuole più guardare le foto o video; in breve sembra di voler cancellare il suo paese natale dalla faccia della terra.

Come ci dobbiamo comportare?

Inanzitutto direi che il rifiuto del paese natale è del tutto normale visto che in questo paese ha vissuto momenti molto dolorosi. E quindi normale che voglia chiudere col passato e pensare solo al futuro. Ma il suo paese natale ha tante cose positive ed è comunque parte di lui, fa parte della sua storia e primo poi tornerà a interessarsi al suo paese.

L'unico suggerimento che mi sento di dare è di non mollare perchè si tratta di una fase. Continuate a tenere il fotoalbum e libri a portata di mano (e alla sua altezza). Chiedeteli se li va di ascoltare un po' di musica del suo paese e poi mettetela (se è d'accordo). E' importante non imporgli nulla ma neanche prendere il suo rifiuto come una cosa definitiva e per sempre. Cercate di riprovare e riproporre.
Nel nostro caso, ogni volta che guardavamo i video dei nostri viaggi in TV, il nostro figlio andava e dava pugni al bambino (lui) che appariva sulla TV. Ripeteva: caca, brutto! Questo atteggiamento continuò per qualche anno, ma questo non ci fece mettere via i video. L'unico accorgimento era di non fare vedere i video ad altri perchè era chiaro che se ne vergognava e si sarebbe sentito tradito se lo avessimo fatto vedere ad altri. Grazie a un lungo lavoro sulla sua autostima, adesso guarda i video con serenità e osserva cose nei video oltre se stesso.

Figli adottivi, volete intervenire e raccontarvi?

11 ottobre 2007

I piedi in due scarpe.


Un modo di dire ed un arte del tutto Italiana quella di tenere i piedi in due scarpe, noi Italiani siamo bravissimi a farlo in tantissimi settori della nostra vita. Diventa più difficile farlo quando i piedi bisogna tenerli in due culture, quando alla scarpa elegante nel piede sinistro si deve appaiare l’infradito nel destro, quando alla cultura Italiana bisogna affiancare quella del paese da cui viene nostro figlio, il paese d’adozione, in questo siamo meno bravi, convinti dal sentircelo dire a destra e a manca, che il nostro stile di vita è il migliore nel mondo. Esistono casi estremi, in cui addirittura la cultura del paese d’adozione viene dimenticata o annullata, i motivi possono essere tanti, mancanza di risorse, di interesse, di tempo, si può anche non sapere come agire con il senso di sofferenza che nostro figlio può avere con il suo paese e la sua storia, quindi si cancella, ma dimenticare, cancellare è impossibile, quindi in realtà non si fa altro che rimandare un problema che potrebbe ingrandirsi con il tempo.
Abbiamo bisogno del vostro contributo, raccontateci come fate, come tenete i piedi nelle due scarpe culturali.

Contributo di Papà 1

8 ottobre 2007

Da Microsoft al Nepal

Oggi vi riporto un bel articolo apparso un paio di settimane fà su La Repubblica. Nel caso che fosse spostato all’interno del quotidiano ve lo ripropongo per intero sotto. Parla di quanto abbia colpito la povertà in Nepal a John Wood, il numero due di Microsoft in Asia. Un viaggio in Nepal, dove la povertà è talmente rampante che non ci sono nemmeno i libri nelle scuole, le ha cambiato la vita e la sua prospettiva. E adesso John Wood raccoglie fondi per l'infanzia.

"Ho detto no a Bill Gates per i poveri dell'Himalaya"
dal corrispondente La Repubblica: ANDREA TARQUINI

BERLINO - Dalla stanza di comando di Microsoft alle misere scuole senza libri in Nepal o in Indocina, dai piani alti del top dell'economia postmoderna al dramma quotidiano del Terzo mondo. La conversione alla pietà e alla filantropia, oggi, trova per caso la sua via di Damasco. Senza pensare a San Paolo, John Wood era ai vertici del successo quando ha scelto l'addio al potere e alla ricchezza. Ha creato e guida Room to read, un'organizzazione non governativa che con un'efficienza da multinazionale raccoglie fondi per biblioteche per l'infanzia, scuole, libri, computer.

Aiuto ai bimbi nei paesi più poveri della Terra. E specialmente aiuto alle bambine, le più discriminate: bimbe, ragazze e donne sono due terzi degli analfabeti. Con un sito per contatti, donazioni e informazioni: www. roomtoread. org In Italia sta per lanciare le sue iniziative a Milano. Qui a Berlino è venuto a presentare "Von Microsoft in den Himalaya", "Da Microsoft all'Himalaya" (editoriale Murmann), il libro in cui si confessa. Lo abbiamo incontrato, ecco il suo racconto.

"A soli 35 anni ero il numero due di Microsoft in Cina e in tutto l'Estremo oriente, il mercato decisivo. Avevo un lavoro splendidamente pagato, la carta di credito illimitata, prospettive di carriera senza limiti", dice sorridendo a un passo dalla Porta di Brandeburgo. Quarantatre anni ben portati, eleganza casual da tipico giovane 'wasp' (bianco, anglosassone, protestante) vincente, l'accento tra il californiano e l'australiano che tradisce gli anni di lavoro nell'Asia-Pacifico, nuova locomotiva del mondo.

"Dopo anni di superlavoro senza sosta cercai vacanze estreme. Anche noi guerrieri invincibili di Bill Gates dovevamo rigenerarci. Arrivai a piedi a Bahundanda, un povero villaggio del Nepal. Lassù vicino al 'tetto del mondò ebbi l'incontro che cambiò la mia vita".

Fiero quasi ancora come un manager davanti agli azionisti, Wood mi mostra i depliant del suo nuovo orgoglio, il decollo di Room to read in pochi anni: trecento nuove scuole costruite, con operai e gente del posto, 4000 biblioteche, due milioni di libri per l'infanzia in lingue locali distribuiti gratis più un milione e mezzo di libri in inglese, 150 laboratori con computer per l'allaccio al mondo online di oggi, tremila programmi in aiuto a bambine e ragazze per strapparle a miseria, analfabetismo e oppressione sessista.

Wood continua a narrare: "Lassù conobbi mister Pasupathi, amministratore di tutte le scuole di montagna del posto. Diventammo amici, mi mostrò la scuola principale: quasi niente banchi né sedie, e una stanza chiamata biblioteca, ma senza libri in vista. Solo un armadio chiuso a chiave. "Là sono i miei pochi tesori, venti libri per centinaia di bimbi e ragazzi", mi disse il preside. Poi mi sorrise: "Chi sa, forse lei un giorno tornerà qui portandomi qualche libro. O forse ci dimenticherà"".

Wood tornò al lavoro con la testa in subbuglio. Cominciò a documentarsi online, apprese cifre da trauma: quasi 800 milioni di analfabeti nel mondo, di cui un terzo donne e bambine. 115 milioni di bimbi che non hanno alcuna speranza di cominciare mai la scuola. "Solo istruendoti hai possibilità di andare avanti", dice. "Era stato così anche per me: papà fu il primo in famiglia a entrare in college, io seguii il suo esempio ed ero arrivato al vertice di Microsoft. Cominciai a cambiare dentro, a sentire altri interessi, altre priorità: quei bambini senza libri né scuola divennero per me più importanti del successo dell'azienda e mio personale. Cominciai tentando con la filantropia part-time, poi capii che non funzionava: o i bambini poveri o la multinazionale. Iniziò il bracco di ferro con Microsoft. Non seppero capire la mia nuova esigenza. Non volevano perdermi, erano ostinati a tenermi a ogni costo, mi offrirono ogni vantaggio. Dissi no: della mia vita decido io, non la negozio con voi. Non c'era spazio per compromessi. Lasciai l'azienda".

L'inizio fu improvvisato: Wood sfruttò tutte le sue conoscenze nel mondo online. Scrisse una e-mail circolare a tutti i colleghi e amici nel mondo, chiedendo fondi, donazioni, aiuti. All'inizio, chiese solo libri di scuola per il maestro nepalese. Come indirizzo di recapito, diede la casa paterna: "Dopo poche settimane, papà mi raggiunse da qualche parte in Asia sul cellulare, mi chiese cosa doveva fare: i libri arrivati per posta avevano già riempito tutto il garage di casa. Forse quella e-mail circolare è ancora in giro nella rete".

Fu anche un inizio duro, di rinunce. Addio allo stipendio da sogno, alla carta di credito illimitata, a tutti i fringe-benefits immaginabili, all'auto nuova ogni sei mesi. "Oggi vivo con circa il 20 per cento di quanto guadagnavo prima della mia svolta, va bene così. Rimpiango poco o nulla, mi va benissimo non cambiare più auto di lusso ogni pochi mesi, e invece guidare ancora la mia vecchia Audi finché non cadrà a pezzi. Non sono queste le cose essenziali nella vita".

Forse qualcos'altro era meno irrinunciabile nella vita di prima della conversione alla carità, ma John Wood dovette voltarle le spalle. La sua girlfriend era la giovane Sophie, ai vertici dell'economia anche lei. Lui gli spiegò la sua scelta, a poco a poco cessarono di frequentarsi.

"Gli inizi furono duri", narra ancora Wood. "Ci furono momenti di disperazione, la tentazione di mollare tutto e ammettere il fallimento, come un'azienda nuova che va in bancarotta. All'inizio, nessuno ci credeva, nessuno o quasi donava denaro. Il mio primo viaggio in Nepal lo feci sul dorso di un bue yak carico di pacchi di libri per mr. Pasupathi e le sue scuole. Poi imparammo a organizzarci. Una strategia chiara, su due binari: la carità con l'energia di Madre Teresa di Calcutta, l'efficienza organizzativa ai livelli delle migliori multinazionali, con 150 impiegati retribuiti e un migliaio di volontari sparsi nel mondo povero. Dovevamo mettere a fuoco gli obiettivi prioritari e crescere, crescere senza sosta, per garantire più aiuti. E crescere cercando di suscitare forze sul posto: tutti i libri per l'infanzia in lingua locale li abbiamo fatti scrivere da artisti locali scovati dai nostri volontari, le scuole le facevamo costruire dai locali".

Adesso siamo più conosciuti, è più facile raccogliere fondi di beneficienza, dice Wood soddisfatto come un supermanager i cui titoli volino a Wall Street. "Dai 50mila dollari annui di offerte l'anno degli inizi siamo passati a una media di 50mila al giorno nel 2007". Ormai l'ex supermanager di Microsoft è una star mondiale nel mondo della carità, la Cnn e il Wall Street Journal, Newsweek e il Financial Times parlano di lui. Le tappe a Berlino e prossimamente a Milano sono nuovi passi, "per quei bambini a cui voglio provare a dare un futuro: 1,3 milioni oggi, dieci milioni nei miei obiettivi entro il 2020. L'istruzione dà chances di una vita migliore più di ogni altra cosa. Per i bimbi, e soprattutto per ragazze e donne".

La caccia alle donazioni prosegue senza sosta: qui in Mitteleuropa Wood ha convinto Deutsche Bank e il colosso dell'energia Vattenfall, grandi banche come gli svizzeri di Ubs e piccole aziende berlinesi come quella di una creatrice di moda per bambini, la Andrea Ziegfeld GmbH. "E'un impegno duro, ma nulla mi dà più gioia di certi segnali, come la e-mail d'un bambino che mi è arrivata da un povero villaggio vietnamita dove abbiamo portato dei computer. "Mister Wood, grazie per questa macchina dentro cui è nascosto il mondo d'oggi"".

da http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/esteri/john-wood/john-wood/john-wood.html
(24 settembre 2007)

Non tutti possiamo mollare tutto e andare a vivere all’estero però certamente possiamo apoggiare iniziative come queste, ecco quindi che vi propongo di inviare una donazione a questa ottima iniziativa. Potete visitare il sito http://www.roomtoread.org/index.html e contattare John Wood tramite il suo sito.

Grazie dell'attenzione.

2 ottobre 2007

Una grande famiglia adottiva

Durante le ferie capita di visitare posti diversi e spesso incontriamo nuovi amici con cui subito si stabilisce un legame. Due anni fà incontrammo una coppia durante una passeggiata in Alto Adige. Avevamo notato che ci guardavano e poco dopo si sono avvicinati con: "Salve, vediamo che anche voi avete intrapreso questa avventura chiamata adozione"... i loro due maschietti era stati adottati dal Est Europa. Da quel momento, abbiamo continuato la nostra passeggiata insieme a loro raccontandoci le varie esperienze del percorso adottivo, l’incontro col figlio e l’inserimento in famiglia.

In Spagna abbiamo incontrato una coppia: lei tedesca e lui spagnolo e pure lì siamo riusciti a scambiarci un bel po’ di informazioni. Ci hanno raccontato la procedura dell’adozione in Germania che è, a quanto pare, più snella e veloce rispetto a quella Italiana. Loro hanno adottato un bel maschietto che era stato adottato in precedenza da una famiglia del paese d’origine e poco dopo riportato in orfanotrofio. Quindi ci hanno raccontato delle difficoltà del bambino all’asilo, ecc.

Quest'estate, al mare, abbiamo conosciuto una famiglia con una splendida figlia adottiva. Dopo qualche sguardo la nonna della ragazzina si è avvicinata e subito ci siamo messi a condividere pensieri, ostacoli, difficoltà e le gioie delle nostre esperienze. Il giorno dopo la signora mi fece conoscere il suo figlio e nuora e pure lì ci siamo scambiati tante informazioni. Quando ci siamo salutati mi sono accorta che non sapevo nemmeno il nome della persona che avevo davanti! Poi ci siamo scambiati i nomi, ecc, ma si vede che ci eravamo perse nel entusiasmo di parlare dei nostri preziosi bimbi.

Alla fine trovarsi bene fin da subito con estranei non è così poi strano perchè condividiamo un'esperienza piena di emozioni fortissime. Chi non ci ha passato non riesce a capire e naturalmente cerca di ragionare, quando la ragione non c’entra nulla con l’emozione. Provate a pensare, si può ragionare col mal di schiena o di testa? Un dolore psichico non è poi tanto diverso da uno fisico.

Se poi parliamo delle famiglie con cui abbiamo condiviso i viaggi o quelli, sempre adottivi, che ci sono stati vicino prima e dopo l’arrivo del figlio, a me sembrano dei fratelli nel senso che avremmo sempre qualcosa che ci lega.

E' bello poter parlare di un argomento che ci sta a cuore senza dover fare premesse. Proprio come succede in famiglia o con amicizie di lunga data. L'adozione è un percorso difficile ma bello allo stesso tempo e chi ci attraversa cambia per sempre. Anche se l'adozione avviene in paesi diversi o tempi diversi, le emozioni dei genitori sono molto simili. Alla fine è come se avessimo fatto un percorso di vita assieme e per questo, diventati una grande famiglia.